Terza Edizione dal 4 all’8 giugno 2014

LOGO_FLMweb_300x250Tra circa un mese, ora più ora meno, avrà inizio la terza edizione del Festival della Letteratura di Milano. Crediamo sia un avvenimento importante. Lo è sicuramente per noi, che in tutto questo tempo (circa quattro anni, ora più ora meno), lo abbiamo visto nascere, crescere e perfino riprodursi. Perché questo Festival – il primo nato a Milano dopo anni di chiacchiere, progetti e indecisioni – continua a dimostrare di rispondere a un’esigenza della collettività, o di una parte di essa, che non smette di crederci, rendendo possibile in questo modo la sua sopravvivenza.
Oltre agli eventi proposti (circa centoquaranta a oggi, ma il numero è in costante crescita) quest’anno daremo vita al Salone della Piccola Editoria. Uno spazio aperto a un ambito della vita sociale assolutamente emarginato dai grandi eventi cittadini, quelli proposti dai grandi sponsor, ad uso e consumo della propria voracità; quella editoria dal profilo basso, che non trovate nei grandi magazzini, non legata a questo o a quell’altro gruppo di potere, alla quale vengono spesso tarpate le ali alla nascita, ma che continua a proporre, caparbiamente, il meglio della letteratura mondiale.

Il Salone aprirà i suoi battenti il 6 Giugno alle 17.30, in centro, a Milano (Ex-Fornace, Naviglio Pavese, a dieci minuti dal Duomo, passo più passo meno).

In molti continuano a chiedersi (lo fanno di sicuro nei piani alti) a che pro insistiamo a portare avanti un’avventura del genere, senza alcun tipo di aiuto e, spesso, dovendo lottare contro gli ostacoli che da quei piani ci calano sulla testa. Qualcuno chiese una volta a Karl Kraus per quale motivo insistesse a fare della letteratura. E lui rispose: la si fa perché non si ha il coraggio di non farla.

Ecco, qualcosa del genere capita a noi con la cultura. Ribadiamo dall’inizio che la consideriamo un bene comune, alla stregua dell’acqua, o dell’aria che respiriamo. Che non facciamo altro che esercitare un nostro diritto quando cerchiamo di strapparla dalle mani di coloro che la ritengono poco di un espediente per ingrossare il loro portafoglio elettorale.

In questi anni il Festival continua a configurarsi come un vero e proprio movimento culturale. Uno spunto dal quale partire per cominciare a pensare il mondo attorno a noi come quello spazio della molteplicità intuito da Calvino nelle sue Lezioni Americane. Un collante in grado di tenere insieme elementi tanto dissimili da generare diffidenze. Un intrecciarsi del tessuto civico della società in cui viviamo, favorendo relazioni orizzontali e comunitarie, in grado spesso (molto spesso) di colmare i vuoti lasciati dalle amnesie, dai limiti o dai privati interessi della pubblica amministrazione.

Come è successo nelle passate edizioni continuiamo a lavorare senza alcun tipo di aiuto da parte delle istituzioni. Può sembrare paradossale ma, in qualche modo (nonostante le enormi difficoltà), questo fatto è diventato, volenti o nolenti, il vessillo del nostro incedere quotidiano. Abbiamo smesso di sperare, al punto che abbiamo smesso persino di chiedere. Definire biblici i tempi di una burocrazia studiata a tavolino per demolire le speranze di chi si ostina a credere alla buona novella equivarrebbe a passare per sprovveduti.

E diamo fastidio. Di questo abbiamo avuto più di una conferma. Per fortuna ci sono i volontari. Studenti, neo-laureati, professionisti, pensionati, attori, scrittori, musicisti, editori; gente che, contro vento e marea, ha fatto propria quell’idea dalla quale siamo partiti, circa quattro anni fa (giorno più giorno meno)

In questa edizione (tra altre cose) parleremo di: razzismo, integrazione, disabilità, resistenza, lingua, sapori, dissapori, arte, cultura, amori e disamori, politica e politicanti; parleremo di musica, di calcio, delle parole dette e di quelle non dette, di lunghe falcate e di gambe corte, di voli pindarici e di quelli veri, del “dolore eroico di costruirsi ogni giorno un nuovo paio d’ali”; parleremo di poesia, e dei linguaggi del corpo; dei recinti della mente e dei manicomi criminali, di sguardi dietro le sbarre, di messaggi scritti sul muro, di torti e di diritti, del coraggio delle Mamme, della memoria delle Nonne, della difesa dell’allegria, di una tristezza “improvvisamente perfetta”, di mondiali di calcio e di campionati della fantasia…

“La letteratura vive solo se si pone degli obbiettivi smisurati, al di là di ogni possibilità di realizzazione, diceva Calvino. “Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione”. In questo stiamo.

Milton  Fernàndez
Direttore  artistico  Festival  della  Letteratura  di  Milano

 

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