Come una valle mi preparo alla vibrazione dell’eco
pronta alla sua scomparsa.
Ciò che scompare infatti indica un luogo più interno
più profondo per farsi seme.
E il cielo resta cielo nell’attesa
mentre dai deboli moti casuali dell’aria
componi memoria nuova
immolando luoghi stremati dai nomi.
Lasciati andare – srotola adesso
i santuari della tua perenne identità
scoperchia i tesori armati
allenta i cavi tesi tra i boschi
annuncia il vuoto dei sagrati.
Faccio due passi nello svanimento
e ciò che è davanti è da anni dietro ai miei occhi orientali.
E intanto di infinite sparizioni la somma
genera nel vuoto movimento
che scuote e scende nel suono
e non è radicamento ma tempo sconosciuto
come – nel moto ascensionale degli addendi
l’arrivo della prossima raffica di vento.
Sottratto a ciò che vedo sei davanti a me
specchiato nel tuo doppio celeste
parlo alla tua fine mentre sono ancora prato
perdo e riposiziono testarda lo sguardo.
Travolti dal vento verticale:
gli inquisitori le case le opinioni virtuose
gli sperduti le chiese le verità ricomposte
gli amici di tutti le menti mostruose
i fienili vuoti gli animali inutili
i ceri accesi le spente spose.
Spazzati: lo spreco di storia
il baratto di miseria per miserie
il tanto difeso dire
rimane la grazia dello scheletro invisibile e sonoro.
Ciò che scompare infatti rivela un luogo più interno
più profondo per farsi seme.
Sparisci! – passami dentro!
il paese sfinito
le meschinità altere l’odore di chiuso
il metro di terra minato
i nomi che non trovo il fiato
dei corpi sbarrati – io però
cerco un’altra materia a sostenere la geografia
che porto tatuata sotto la pianta dei piedi.